Egoismo, ignoranza, malvagità, indifferenza

Nota: in questo capitolo ho volutamente evitato di usare il termine etica e i suoi derivati, preferendo quello di morale. Ritengo infatti che l’etica riguardi la riflessione teorica sul bene e il male, mentre a me interessa qui discutere degli aspetti pratici e psicodinamici legati a tali concetti.

I giudizi morali sono molto importanti nelle relazioni sociali e si applicano solo a queste. Fanno eccezione i contesti religiosi, dove i giudizi morali si applicano anche alle relazioni tra il soggetto e le entità divine o spirituali in cui esso crede.

I giudizi morali costituiscono fattori di coesione sociale in quanto spingono gli individui a comportarsi secondo certe regole necessarie alla sopravvivenza e al funzionamento delle comunità in quanto ambienti di cooperazione. Siccome gli esseri umani, a causa della loro interdipendenza hanno un bisogno di comunità, e la moralità è indispensabile per la vita della comunità, gli umani hanno anche un bisogno innato di moralità. Si potrebbe anche dire che il bisogno di comunità contiene anche il bisogno di moralità o coincide con esso.

I giudizi morali, diversi qualitativamente e quantitativamente nelle diverse dottrine etiche religiose o laiche, vertono sostanzialmente sui seguenti aspetti della mentalità individuale:

  • egoismo
  • ignoranza
  • malvagità
  • indifferenza

Per egoismo intendo la tendenza a perseguire la soddisfazione di propri bisogni senza preoccuparsi della soddisfazione di quelli altrui, laddove soddisfare pienamente i propri bisogni comporta, in una certa misura, la frustrazione di quelli altrui. Questo avviene, per esempio, quando vi sono risorse limitate e insufficienti per tutti, e non si vuole rinunciare nemmeno in parte alle risorse desiderate.

Per ignoranza intendo, in questo contesto, la colpevole non conoscenza, ovvero il non voler conoscere i bisogni né i desideri altrui, né le circostanze della loro soddisfazione o frustrazione. 

Per malvagità intendo il piacere associato alla sofferenza altrui, ovvero l’esercitare violenza su altre persone per ottenere dei vantaggi, o per godere nel vedere gli altri soffrire.

Per indifferenza intendo la mancanza di empatia riguardo alla sofferenza o alla gioia altrui, e di conseguenza la mancanza di motivazione ad aiutare chi ha bisogno di aiuto.

Possiamo qualificare come negativi i suddetti giudizi.

Un unico giudizio morale positivo è sufficiente a rappresentare il contrario di tutti quelli negativi: l’altruismo. L’altruista, infatti, non è egoista, né ignorante, né malvagio, né indifferente.

Il giudizio morale serve dunque a qualificare una persona come più o meno altruista, oppure egoista, ignorante, malvagio, indifferente, o una combinazione di tali qualità.

Quali possono essere le conseguenze di un tale giudizio? 

Ho già detto che i giudizi morali sono fattori di coesione sociale. Infatti, quanto più l’individuo cerca di meritare un giudizio morale positivo, tanto più si comporta in modo altruista (cioè cooperativo e non competitivo) e tanto più favorisce il bene comune della comunità, ovvero la maggiore soddisfazione possibile dei bisogni del maggior numero dei membri della comunità stessa. 

Questa idea corrisponde al pensiero di Jeremy Bentham sintetizzato nell’espressione “massima felicità per il maggior numero [di persone]”, e di John Stuart Mill, che definisce il suo utilitarismo come “quella dottrina che accetta come fondamento della morale l’utilità, o il principio della massima felicità, (e che) sostiene che le azioni sono lecite in quanto tendono a promuovere la felicità e illecite se tendono a generare il suo opposto”. In entrambe le citazioni io intendo per “felicità” la soddisfazione dei bisogni della persona.

Un individuo che si comporta in modo abitualmente o normalmente immorale non contribuisce al bene comune, ma costituisce un peso o un danno per la comunità, che tende perciò a punirlo e/o ad espellerlo. Questa eventualità è per l’individuo qualcosa di temibile anzi, terrificante, consciamente e ancor più inconsciamente, anche perché si oppone all’innato bisogno di comunità.

Relatività della morale

Il giudizio morale può essere molto complesso, oltre che soggettivo, perché un individuo può comportarsi in modo diversamente morale nel tempo e con diverse persone. Vale a dire che si può essere a volte più morali e altre meno verso una stessa persona, e si può essere più morali con certe persone e meno con altre. Inoltre ogni persona può dare un peso diverso alle diverse regole che caratterizzano il proprio paradigma morale.

Un’altra causa di complessità e soggettività della moralità riguarda l’atteggiamento verso le comunità diverse da quella di appartenenza, e verso le minoranze all’interno di quella propria, che vengono spesso considerate come altre comunità. Mi riferisco alle dimensioni del “noi” e del “loro” come contrapposte o antagoniste.

La storia ci ha infatti mostrato con quanta naturalezza o banalità (come direbbe Hannah Arendt) una comunità non ritiene necessario comportarsi moralmente verso altre comunità o verso delle minoranze al suo interno, se queste sono considerate nemiche della propria comunità di appartenenza. Basti pensare all’Olocausto degli ebrei durante il nazismo, dove perfino un atteggiamento tollerante verso questa minoranza era considerato immorale.

Divieti, obblighi e doveri – Soggettività della morale

Le prescrizioni morali si possono dividere in tre categorie: i divieti, gli obblighi e i doveri.

I divieti sono di gran lunga più semplici da capire e da rispettare. Si tratta di ingiunzioni come “non uccidere”, “non rubare”, “non fare ad altri ciò che non vorresti fosse fatto a te” e simili. E’ infatti normalmente facile e oggettivo stabilire se uno abbia ucciso o rubato.

Anche gli obblighi sono relativamente semplici da capire e da rispettare. Si tratta di ingiunzioni legali o contrattuali come pagare le imposte, pagare il prezzo di una merce o di un servizio, e simili. Per dimostrare di aver assolto un obbligo, in molti casi è sufficiente una ricevuta.

I doveri morali, sono invece molto più vaghi e soggettivi. Si tratta infatti di aiutare gli altri a soddisfare i loro bisogni e di soccorrerli in caso di necessità o disgrazie. In altre parole, si tratta di essere solidali con gli altri. La vaghezza e la soggettività riguardano sia l’individuazione delle persone da aiutare o soccorrere, sia la misura (in quantità e durata) dell’aiuto. Quante persone un individuo deve aiutare, e in quale misura, per potersi considerare morale, cioè per poter dire di aver fatto il proprio dovere? Non è scritto da nessuna parte (e non potrebbe essere altrimenti), perciò ognuno può stabilire questi limiti a suo piacimento e a sua convenienza. E in effetti ognuno tende ad adottare il sistema morale (e le misure dei doveri), che lo assolvono.

Ci sono situazioni in cui è molto difficile stabilire se un certo comportamento sia morale o immorale. Per esempio pagare un operaio con uno stipendio “da fame” (sebbene pacificamente concordato) grazie al fatto che, a causa di una grande disoccupazione, molti, pur di lavorare, si accontentano di stipendi bassissimi. Tale esempio ci rimanda ad un problema morale più generale e più grande, ovvero se sia giusto, cioè morale, che alcuni siano molto più ricchi di altri.

Doppio vincolo nel giudizio morale

Siccome agli obblighi, ai doveri e ai divieti dell’uno sono collegati i diritti dell’altro, il giudizio morale riguarda tutti gli esseri umani e costituisce una delle pressioni più forti nella determinazione del comportamento umano sia in senso coercitivo che inibitorio.

Siamo infatti tutti molto preoccupati (consciamente o inconsciamente) di come gli altri ci giudicano moralmente e siccome nessuno può considerarsi completamente esente da colpe (anche a causa della relatività e soggettività del giudizio morale) abbiamo quasi tutti letteralmente paura di essere giudicati negativamente. Fanno eccezione certi malati di mente e certi criminali.

A causa di tale paura, tendiamo ad evitare di discutere di moralità, e perfino di pensarci, tranne nei casi in cui siamo assolutamente certi della nostra innocenza, ovvero di essere nettamente migliori, in senso morale, rispetto a coloro che stiamo giudicando negativamente.

A causa della dinamica sopra descritta, si può determinare una situazione di doppio vincolo: da una parte il bisogno di comportarsi moralmente per non essere puniti o esclusi dalla comunità di appartenenza, bisogno che richiederebbe un’analisi lucida e razionale del proprio comportamento; dall’altra la paura di trovarsi in difetto, e i relativi bias cognitivi, che impediscono al soggetto di affrontare e approfondire razionalmente il problema.

Per risolvere questo doppio vincolo il soggetto dovrebbe trovare il coraggio di riflettere sui suoi doveri morali, eventualmente aiutandosi con la lettura di testi che trattano di morale e di etica, al fine di giudicare se stesso razionalmente e responsabilmente.

Prossimo capitolo: Super-io e autocensura inconscia.