George Herbert Mead

George Herbert Mead (1863 – 1931) è stato un filosofo, sociologo e psicologo statunitense, considerato tra i padri fondatori della psicologia sociale.

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Articolo in Wikipedia in italiano
Citazioni
Il pensiero di George Herbert Mead (di Claudio Fasola e Silvia Lattanzi)


LIBRI (Raccolte di appunti da lezioni universitarie a cura di suoi allievi)

  • The Philosophy of the Present (1932), (a cura di Arthur E. Murphy);
  • Mind, Self, and Society (1934), (a cura di Charles W. Morris);
  • Movements of Thought in the Nineteenth Century (1936), (a cura di Merritt H. Moore);
  • The Philosophy of the Act (1938), le Carus Lectures tenute da Mead nel 1930, (a cura di Charles W. Morris).

ARTICOLI

  • “Suggestions Towards a Theory of the Philosophical Disciplines” (1900);
  • “Social Consciousness and the Consciousness of Meaning” (1910);
  • “What Social Objects Must Psychology Presuppose” (1910);
  • “The Mechanism of Social Consciousness” (1912);
  • “The Social Self” (1913);
  • “Scientific Method and the Individual Thinker”(1917);
  • “A Behavioristic Account of the Significant Symbol” (1922);
  • “The Genesis of Self and Social Control” (1925);
  • “The Objective Reality of Perspectives” (1926);
  • ”The Nature of the Past” (1929);
  • “The Philosophies of Royce, James, and Dewey in Their American Setting” (1929).

CONCETTI

  • Altro generalizzato
  • Io, me, sé
  • interazionismo simbolico

Da Wikipedia

Interessante fu la distinzione fra “Me”, ovvero l’assorbimento degli atteggiamenti degli altri, e “Io”, ovvero la reazione del soggetto in risposta all’interazione con l’ambiente, oltre alla focalizzazione sul controllo sociale, effettuata tramite l’intervento limitante del “Me” sull'”Io”.

In conclusione, Mead indicò nel giusto equilibro fra la libertà di azione e di iniziativa dell’individuo, e l’integrazione delle singole unità nella collettività, la ricetta per un ottimale modello sociale.

Dal suo approccio derivò la base epistemologica dell’Interazionismo simbolico.

I filosofi pragmatici, come Mead, si concentrano sullo sviluppo del sé e sull’oggettività del mondo all’interno della sfera sociale: “la mente individuale può esistere solo in relazione alle altre menti mediante significati condivisi”.

Le due più importanti fondamenta dell’opera di Mead e dell’Interazionismo simbolico, in generale, sono la filosofia del pragmatismo e del comportamentismo psicologico. Il pragmatismo è una posizione filosofica di ampio respiro in cui possono essere identificati diversi aspetti che hanno influenzato l’opera di Mead.

Vi sono quattro fondamentali principi del pragmatismo: cfr. Internet Encyclopedia of Philosophy

In primo luogo, per i pragmatisti la realtà vera non esiste “là fuori” nel mondo reale, “essa è attivamente creata come agiamo nel mondo e verso il mondo”.

In secondo luogo, le persone ricordano e basano la loro conoscenza del mondo su ciò che è stato per loro utile e sono in grado di modificare ciò che non “funziona” più.

In terzo luogo, le persone definiscono gli “oggetti” sociali e materiali che incontrano nel mondo secondo il loro uso.

Infine, se vogliamo capire coloro che agiscono, dobbiamo basarci su ciò che le persone effettivamente fanno.

Tre di questi principi sono fondamentali per l’interazionismo simbolico:

  1. la messa a fuoco dell’interazione fra chi agisce e il mondo
  2. considerare chi agisce e il mondo come processi dinamici e non delle strutture statiche
  3. la capacità da parte di chi agisce di interpretare il mondo sociale.

Pertanto, per Mead e gli interazionisti, la coscienza non è separata da azione e interazione, ma di entrambe ne è parte integrante.

In parte, le teorie di Mead basate su pragmatismo e comportamentismo, divennero bagaglio di molti laureati della Università di Chicago che posero le basi dell’interazionismo simbolico.

Mead fu una figura molto importante nella filosofia sociale del XX secolo. Una delle sue idee più fondamentali è stata quella di far emergere la mente e il sé dal processo di comunicazione tra gli organismi.

Questo concetto di come la mente e il sé emergono dal processo sociale di comunicazione per mezzo di simboli è alla base dell’interazionismo simbolico nella sociologia.

Mead, alla pari di Dewey, sviluppò una filosofia del processo ancor più materialista che si basava sull’azione umana e specificatamente sulla azione comunicativa.

L’attività umana è, in un senso pragmatico, il criterio della verità e tramite l’attività umana si costituisce il significato. L’attività comune, compresa l’attività comunicativa, è il mezzo tramite il quale si costituisce il nostro senso del sé. L’essenza del comportamentismo sociale di Mead è che la mente non è una sostanza che si trova in un regno trascendente, né è semplicemente una serie di eventi che si svolgono all’interno della struttura fisiologica umana. Questo approccio era in netta opposizione alla tradizionale concezione della mente separata dal corpo. L’emergere della mente è subordinato all’interazione tra l’organismo umano e il suo ambiente sociale; è attraverso la partecipazione all’atto sociale della comunicazione che i singoli realizzano il loro potenziale per un comportamento significativamente simbolico, cioè il pensiero. La mente, secondo i termini di Mead, è il centro individualizzato del processo di comunicazione. È il comportamento linguistico da parte dei singoli. Non vi è, quindi, “mente o pensiero senza linguaggio” e il linguaggio (il contenuto della mente) “è solo uno sviluppo ed un prodotto dell’interazione sociale” (Mind, Self and Society 191- 192). Perciò, la mente non è riducibile alla neurofisiologia dell’individuo biologico, bensì è emergente “nel dinamico e continuo processo sociale” che costituisce l’esperienza umana (Mind, Self and Society 7).

Per Mead, la mente emerge dall’atto sociale della comunicazione. Il concetto meadiano dell’atto sociale è rilevante, non solo per la sua teoria della mente, ma anche per tutti gli aspetti della sua filosofia sociale. La sua teoria di “mente, sé e società” è, in effetti, una filosofia dell’atto dal punto di vista di un processo sociale coinvolgente l’interazione di molti individui, così come la sua teoria della conoscenza e del valore è una filosofia dell’atto dal punto di vista dell’esperienza dei singoli interagenti con un ambiente. L’azione è molto importante per la sua teoria sociale e, secondo Mead, le azioni si verificano entro un processo comunicativo. La fase iniziale di un atto costituisce un gesto. Un gesto è un movimento di preparazione che permette agli altri individui di essere consapevoli delle intenzioni di un dato organismo. La situazione allo stato rudimentale, è una conversazione fatta di gesti, in cui un gesto da parte del primo individuo invoca un movimento preparatorio anche da parte del secondo individuo, il gesto da parte del secondo organismo, a sua volta, chiede una risposta da parte del primo individuo. A questo livello non avviene la comunicazione. Nessuno degli organismi si rende conto del possibile effetto dei propri gesti sull’altro; i gesti sono insignificanti. Perché la comunicazione abbia luogo, ogni organismo deve avere conoscenza di come l’altra persona risponderà al suo agire in corso. Solo così i gesti diventano simboli significativi.[16] Un simbolo significativo è un tipo di gesto che solo gli umani sono in grado di fare. I gesti diventano simboli significativi quando suscitano negli individui che li propongono lo stesso tipo di risposta che essi suppongono di ottenere da coloro ai quali i gesti sono rivolti. Solo quando abbiamo simboli significativi possiamo avere la comunicazione. Mead basò l’umana percezione su di una “azione-connessione” (Joas 1985: 148). Noi percepiamo il mondo in termini di “mezzi per vivere” (Mead 1982: 120). L’azione di percepire il cibo è in connessione col mangiare. Il distinguere una casa è in connessione col ripararsi. Vale a dire, la percezione è in termini di azione. La teoria della percezione di Mead è simile a quella di Jereome J. Gibson.

Mead da sociologo non-positivista sostenne che l’individuo è un prodotto della società o, più precisamente, dell’interazione sociale. Il nasce quando l’individuo diventa un oggetto a se stesso. Mead sostenne che noi siamo prima oggetti rispetto ad altre persone e secondariamente diveniamo oggetti rispetto a noi stessi assumendo il punto di vista di altre persone.

Il linguaggio ci permette di parlare di noi stessi nello stesso modo in cui parliamo di altre persone e perciò attraverso il linguaggio noi diveniamo altri rispetto a noi stessi. Nell’attività congiunta, che Mead definì ‘atti sociali’, gli esseri umani imparano a vedere se stessi dal punto di vista dei loro co-attori. Attraverso la realizzazione reciproca dei ruoli nasce l’individualità. Tuttavia, per Mead, a differenza di John Dewey e di J. J. Gibson, la chiave di questo procedimento non è solo l’azione umana bensì l’azione sociale. Negli esseri umani la “fase manipolatoria dell’atto” è mediata socialmente, vale a dire, nell’agire verso degli oggetti gli umani contemporaneamente assumono le prospettive degli altri verso quel dato oggetto. Questo è ciò che Mead intende per “l’atto sociale” in contrapposizione al semplice “l’atto” (quest’ultimo è un concetto di Dewey). Anche gli animali non-umani manipolano gli oggetti, ma questa è una manipolazione non-sociale, gli animali non assumono la prospettiva di altri organismi verso l’oggetto. Gli esseri umani d’altro canto, assumono la prospettiva di altri attori verso gli oggetti e questo è ciò che consente la complessa società umana e il pur delicato coordinamento sociale.

Un punto conclusivo della teoria sociale di Mead è la mente vista come importazione individuale del processo sociale.

Questo processo è caratterizzato da Mead come l'”Io” e il “Me.” Il “Me” è il sé sociale e l'”Io” è la risposta al “Me.” In altre parole, l'”Io” è la risposta di un individuo agli atteggiamenti degli altri, mentre il “me” è l’insieme organizzato degli atteggiamenti degli altri che un individuo assume.

Mead ha sviluppato la distinzione tra l'”Io” e il “me” proposta da William James. Il “me” è la conoscenza accumulata dell'”altro generalizzato”, cioè come uno pensa che il proprio gruppo lo percepisca, etc. L'”Io” rappresenta gli impulsi dell’individuo. L'”Io” è di per sé come soggetto; il “me” è di per sé come oggetto. L'”Io” è il conoscitore, il “me” è il conosciuto. La mente, o il flusso di pensiero, è l’auto-riflessivo movimento di interazione tra l'”Io” ed il “me”.

Per Mead il processo del pensiero è il dialogo interiore tra l'”Io” ed il “me”.

Per Mead, l’esistenza nella comunità viene prima della coscienza individuale. In primo luogo si deve partecipare alle diverse attività sociali all’interno della società e solo successivamente si può utilizzare tale esperienza per assumere la prospettiva degli altri e quindi divenire autocoscienti.

Mead è considerato uno dei maggiori filosofi americani in virtù del fatto che, insieme a John Dewey, Charles Peirce e William James, è stato uno dei fondatori del pragmatismo. Egli ha fornito contributi significativi anche nelle filosofie della natura, della scienza e della storia, come nella antropologia filosofica e nella filosofia del processo. Dewey e Alfred North Whitehead ritennero Mead un pensatore di primo rango. Mead è un classico esempio di teorico sociale il cui lavoro non si adatta facilmente ai tradizionali confini disciplinari.

Per quanto riguarda il suo impegno nella filosofia della scienza, Mead cercò di individuare l’origine psicologica della scienza negli sforzi degli individui per raggiungere il dominio sull’ambiente in cui vivono. La nozione di un oggetto fisico deriva dall’esperienza manipolatoria.

I nostri concetti scientifici di spazio, tempo e massa vengono tratti dalla esperienza manipolatoria.

Mead teorizzò che gli esseri umani iniziano a conoscere il mondo sociale tramite il “gioco” e la “competizione”.

Attraverso la comprensione di “l’altro generalizzato” l’individuo capisce che tipo di comportamento è previsto, appropriato e così via, in differenti contesti sociali. Il meccanismo di prospettiva preso insieme agli atti sociali è lo scambio di posizioni sociali.


Da Il pensiero di George Herbert Mead (di Claudio Fasola e Silvia Lattanzi)

George Herbert Mead è considerato il padre della teoria sociale che Herbert Blumer ha etichettato con il nome di Interazionismo simbolico (1937).

“Il tentativo di Mead è quello di mostrare che la mente e il sé sono emergenze sociali senza residui; e che il linguaggio fornisce il meccanismo per la loro emergenza. […] a me pare che Mead abbia dimostrato che la mente ed il sé, nell’accezione di tali termini da lui introdotta, sono generati senza residuo in un processo sociale, e che egli abbia per la prima volta isolato il meccanismo di questa genesi. […] L’opera di Mead segna un primo stadio nella nascita della psicologia sociale come scienza”(Morris, 1934, pp. 13 – 14).

Mead assume un atteggiamento critico nei confronti del riduzionismo della teoria behaviorista, la quale ripropone per lo studio della condotta umana lo schema stimolo – risposta, già utilizzato nello studio del comportamento animale.
Nell’ottica meadiana l’uomo, osservato attraverso le sue azioni, può essere compreso solamente in termini di “significato”, non bisogna cercare le cause dell’azione, ma il significato dell’azione compiuta, ciò che conta è il senso che un certo tipo di gesto ha per l’individuo. In questa cornice diviene fondamentale l’interpretazione dello “stimolo” [1] da parte dell’uomo, o meglio, l’interpretazione del gesto da parte di chi lo manifesta. I significati che l’individuo dà agli elementi del mondo sociale possono provenire solo dal mondo sociale stesso. Quindi, mentre Watson considera la società come una forza esterna che preme sull’individuo, per Mead l’uomo è essenzialmente sociale. Lo studioso riprende la posizione di William James, il quale aveva mostrato che il rapporto tra soggetto e oggetto, tra individuo e mondo esterno, deve essere considerato come un processo di interazione tra dimensioni, le quali non possono “esistere” separatamente. Nello stesso tempo la vita sociale è resa possibile dall’interazione tra individui dello stesso tipo e tale interazione è, a sua volta, costruita dalla comunicazione di significati comuni ai diversi individui.

“La psicologia sociale studia l’attività del comportamento individuale nella misura in cui esso si colloca nel processo sociale; il comportamento di un individuo può essere compreso solo nei termini del comportamento dell’intero gruppo sociale di cui egli fa parte, dal momento che i suoi atti individuali sono connessi con atti più vasti, di carattere sociale, che lo oltrepassano e che implicano gli altri membri di quel gruppo. In psicologia sociale non intendiamo costruire il comportamento del gruppo sociale attraverso il comportamento degli individui separati che ne fanno parte; piuttosto cominciamo da un determinato insieme sociale costituito da complesse attività di gruppo, e al suo interno analizziamo (come elementi singoli) il comportamento di ciascuno dei separati individui che lo compongono. Noi cerchiamo, cioè, di spiegare [2] la condotta dell’individuo nei termini della condotta organizzata del gruppo sociale, piuttosto che rendere ragione della condotta organizzata del gruppo sociale nei termini della condotta dei separati individui che ne fanno parte. Per la psicologia sociale l’insieme (cioè la società) precede la parte (cioè l’individuo), e non viceversa; la parte è spiegata nei termini dell’insieme, e non l’insieme nei termini della parte o delle parti” (Mead, 1934, pp. 38 – 39).

Sono i simboli a permettere la comunicazione cosciente e significativa e quindi l’interazione tra gli individui. Gli esseri umani comunicano ed interagiscono tra loro solo se sanno interpretare i propri gesti e quelli degli altri, la comunicazione cosciente e significativa, che si esprime soprattutto tramite il linguaggio, garantisce un adattamento reciproco tra i diversi individui coinvolti nell’atto sociale.

I simboli prodotti tramite il linguaggio sono oggetti sociali dotati di significato condiviso, essi sono alla base dell’interazione tra gli uomini e costituiscono il presupposto per la formalizzazione dei tre costrutti cardine della teoria di Mead: la società, la mente e il Sé.

Dalla tendenza dell’individuo a interiorizzare gli atteggiamenti degli altri nei suoi confronti e ad agire secondo le loro aspettative sorge l’AltroGeneralizzato. Il significato del gesto dell’individuo diviene chiaro solo nella reazione che provoca nell’altro, ma il fatto che l’uomo possa coscientemente oggettivare tale significato, applicandolo a se stesso e astraendolo dalla reazione immediata dell’altro, consente di universalizzare il significato e di elaborarlo autonomamente, sullo sfondo di un contesto generale chiamato Altro Generalizzato.

Esso costituisce il rappresentante della società a livello individuale, divenendo uno strumento di controllo sociale e di auto – controllo. “Il gesto significativo o simbolo presuppone sempre, per avere un significato, il processo sociale di esperienza e di comportamento in cui esso nasce; ovvero, come dicono i logici, è sempre implicito un universo di discorso inteso come il contesto o il campo entro il quale i gesti significativi o simboli trovano di fatto il loro significato.

L’universalità o l’impersonalità del pensiero e della ragione sono, dal punto di vista comportamentistico, il risultato del processo per il quale l’individuo assume gli atteggiamenti degli altri nei suoi riguardi e viene finalmente cristallizzando questi atteggiamenti particolari in un unico atteggiamento o punto di vista che può essere definito come quello dell’ “altro generalizzato”.

Il comportamento umano non appare come una diretta reazione all’ambiente o all’agire altrui, ma si configura come una risposta nei confronti di oggetti interpretati attraverso un’attività simbolica, socialmente derivata e fondata su un processo di role – taking, che consiste nella capacità di assumere il ruolo dell’altro percependo se stessi come oggetti. Questa facoltà di prendere il ruolo, la prospettiva e gli atteggiamenti dell’altro innesca una serie di processi regolati dall’acquisizione della funzione simbolica.

La società è costituita da un insieme di significati condivisi, è frutto di una costruzione umana regolata da processi interattivi.

La società partecipa alla costruzione della mente degli individui, ma al tempo stesso è essa stessa costruita dalle menti degli individui.

La mente, il Sé e la società sono aspetti di un tutto e non possono essere considerati separatamente

La mente

Il gesto simbolico o linguaggio e la coscienza che ad esso è strutturalmente connessa, permettono di scegliere i significati e di controllare e modificare la comunicazione, questo processo prende il nome di mente, essa emerge non come semplice struttura interna propria dell’individuo, ma come risultato di un processo sociale di interazione mediato simbolicamente.
La teoria della mente di Mead è molto simile a quella di Dewey. Essa è uno strumento che prova la sua “realtà” nelle manifestazioni comportamentali. La capacità di organizzare simbolicamente delle definizioni, e quindi la presenza di immagini di alternative di azione, nascono essenzialmente dalla presenza della mente. L’attività mentale consiste nelle risposte che una persona dà a se stessa e agli altri nell’indicare dei significati e nell’usare simboli significativi.

Il pensiero implica un processo in cui, attraverso l’uso di simboli, linee di azione alternative vengono prese in esame e valutate alla luce del sistema di valori dell’individuo. Attraverso l’attività mentale viene individuato e definito un oggetto, la cui natura deriva dal significato che gli attribuisce la persona. Il pensiero prende forma quando l’individuo può sviluppare con se stesso una conversazione interiorizzata, analoga a quella che intrattiene con gli altri.

“L’esistenza della mente o dell’intelligenza è possibile solo in termini di gesti, in quanto simboli significativi: infatti solo in termini di gesti che siano simboli significativi può realizzarsi il pensiero che è semplicemente una conversazione internalizzata o implicita dell’individuo con se stesso attuata per mezzo di tali gesti”(Mead, 1934, p. 74).

La mente non esiste nella struttura, ma nella condotta, non è limitata all’individuo e ancor meno collocata nel cervello. La mente è un processo sociale.

Il sé

Il Sé è per Mead, che riprende qui aspetti elaborati da Cooley, il risultato dell’oggettivazione che l’individuo opera di se stesso, nel momento in cui considera se stesso nel medesimo modo in cui considera gli altri.

Il Sé non esiste dalla nascita, ma emerge nell’interazione sociale; esso si sviluppa come risultato delle relazioni che l’individuo ha con il linguaggio e con gli altri individui.

“Ciò che porta alla formazione del Sé organizzato è l’organizzazione degli atteggiamenti comuni al gruppo. Una persona possiede una personalità perché fa parte di una comunità, perché assume nella sua condotta le istituzioni di quella comunità. Egli considera il linguaggio della comunità come un mezzo attraverso il quale si procura la propria personalità e quindi, attraverso un processo di assunzione delle diverse funzioni che tutti gli altri svolgono egli giunge ad acquistare l’atteggiamento dei membri della comunità. Di tal genere, in un certo senso, è la struttura della personalità di un uomo. Vi sono certe risposte comuni che ogni individuo ha nei riguardi di certi fatti comuni e, nei limiti in cui queste risposte comuni sono suscitate nell’individuo nel momento in cui egli sta influenzando le reazioni di altre persone, egli contribuisce a far sorgere il proprio stesso Sé. La struttura quindi sulla quale si crea un Sé consiste in questa risposta comune a tutti, poiché l’individuo deve essere membro di una comunità per costituire un Sé. Tali risposte consistono in atteggiamenti astratti, ma sono proprio esse che costituiscono ciò che noi definiamo il carattere di un uomo. Esse gli danno ciò che definiamo i suoi principi, i modi di agire riconosciuti di tutti i membri della comunità nei riguardi di quelli che sono i valori morali di quella comunità. L’individuo si pone al posto dell’altro generalizzato che rappresenta le risposte organizzate di tutti i membri del gruppo. È l’altro generalizzato che guida la condotta regolata dai principi e una persona che ha un gruppo organizzato di risposte di tal genere è un uomo che noi diciamo dotato di carattere, in senso morale. È dunque un insieme di atteggiamenti organizzati che conduce alla formazione di un Sé in quanto distinto da un insieme di modi di agire acquisiti abitudinariamente. […] Noi non possiamo essere noi stessi se non siamo anche membri di una società in cui esiste una comunanza di atteggiamenti che regola gli atteggiamenti di tutti. Non possiamo avere dei diritti se non abbiamo degli atteggiamenti comuni. Ciò che abbiamo acquisito come persone autocoscienti ci rende appunto membri della società e costituisce il nostro Sé. I Sé possono esistere solamente in rapporti bene definiti con altri Sé. Non si può tracciare una stabile linea di demarcazione tra i nostri Sé e i Sé degli altri dal momento che i nostri stessi Sé esistono ed entrano in quanto tali nella nostra esperienza solo in quanto esistono anche i Sé degli altri, che entrano in quanto tali nella nostra esperienza. L’individuo possiede un Sé solo in relazione ai Sé degli altri membri del suo gruppo sociale e la struttura del suo Sé esprime e riflette il generale modello di comportamento del suo gruppo sociale, allo stesso modo della struttura del Sé di tutti gli altri individui appartenenti allo stesso gruppo sociale” (Mead, 1934, pp. 177 – 178 – 179).

L’immagine che l’individuo ha del suo Sé è il prodotto della sua esperienza sociale e delle forme di mediazione simbolica di questa esperienza. Il Sé si sviluppa, in una prima fase, organizzando gli atteggiamenti particolari che gli altri assumono verso l’individuo e verso loro stessi durante gli atti sociali in cui egli interagisce con loro (famiglia, gruppo di coetanei, gruppo di appartenenza etnica, ecc.) e, in una seconda fase, organizzando non soltanto gli atteggiamenti individuali particolari, ma anche gli atteggiamenti dell’Altro Generalizzato (gruppo sociale considerato in quanto totalità).
In questa prospettiva, Mead pone in evidenza la funzione del gioco per la costruzione del Sé. Il gioco, così come il Sé, si articola in due fasi. La prima fase, che ha inizio intorno ai due anni, è quella del play (gioco spontaneo), in cui il bambino non fa altro che assumere, attraverso l’imitazione, uno dopo l’altro i ruoli delle persone che sono entrati nella sua vita. In questo stadio, il bimbo non ha ancora un Sé pienamente formato, in quanto non ha ancora organizzato la sua vita come un tutto, ma vive in modo scisso i diversi ruoli che assume di volta in volta. Prima di entrare nella fase del play, il fanciullo deve aver acquisito i rudimenti del linguaggio grazie al quale può comprendere i simboli significanti comuni sottostanti al processo di assunzione del ruolo altrui. Successivamente, intorno ai sette anni, il bambino entra nella fase del game (gioco organizzato), dove egli impara a giocare anche in gruppo secondo regole convenzionali, diventando così capace di assumere ruoli diversi all’interno di un unico insieme organizzato di azioni e reazioni. Gli atteggiamenti altrui assunti diventano meno espliciti rispetto a quelli del play e il soggetto diventa, per così dire, tutti gli altri implicati nell’attività comune. Il Sé deve racchiudere al suo interno l’intera attività organizzata in modo da svolgere il proprio ruolo; per fare ciò la persona non si limita ad assumere semplicemente il ruolo di un’altra persona specifica, ma quella di ognuno degli altri partecipanti all’attività comune. Il bambino generalizza l’atteggiamento dell’assunzione di ruolo, assumendo la posizione dell’Altro Generalizzato. In questo modo il Sé viene percepito come unità, diventando, mediante l’esperienza che gli altri gli rinviano, oggetto a se stesso.