Come spiegato nell’introduzione, il fine ultimo di questo libro è quello di aiutare a diventare più saggi, intendendo per saggezza la capacità di soddisfare i bisogni propri e quelli altrui, in modo sostenibile.
Tale obiettivo si basa sul principio che la soddisfazione di un bisogno provochi un aumento del piacere o una diminuzione del dolore nelle loro varie forme e, al tempo stesso, contribuisca alla sopravvivenza dell’individuo e alla conservazione della sua specie. Viceversa, si assume che la frustrazione di un bisogno provochi un aumento del dolore o una diminuzione del piacere e, al tempo stesso, contribuisca a far ammalare o uccidere l’individuo e a minacciare la conservazione della sua specie. Si assume inoltre che il piacere e il dolore siano sintomi della soddisfazione o frustrazione di bisogni.
In questo libro non cerco di dimostrare la verità di tale principio, sia perché non credo che ci riuscirei, sia perché esso mi sembra evidente di per sé. Prendiamolo dunque come un assioma non falsificabile (come direbbe Karl Popper). Ammetto comunque che, se questo principio fosse invalidato, una buona parte di questo libro si rivelerebbe infondata e fuorviante.
Da quando esiste la scrittura, i media abbondano di ricette per essere felici. In fondo anche questo libro è una ricetta della felicità, questo misterioso e soggettivo stato mentale definito nei modi più vaghi e arbitrari sia nella cultura popolare che in quella più istruita. Questo perché non si tratta di un concetto scientifico, e tutto ciò che non è scientifico è in certa misura arbitrario (ma non per questo necessariamente falso).
Io definirei la felicità di un individuo come una condizione abituale in cui i suoi bisogni primari vengono soddisfatti in modo sufficiente prima che una loro eventuale frustrazione provochi dei danni psicofisici. Per sufficiente intendo in misura tale per cui l’individuo accetti volentieri la vita che conduce e non desideri cambiarla strutturalmente.
Da tale definizione deduco che la saggezza sia, in quanto capacità di soddisfare i bisogni, anche conoscenza di ciò che causa la felicità e di ciò che la ostacola.
Chiediamoci allora: cosa causa la felicità, cosa la ostacola?
Non ho dubbi sul fatto che, data la generale interdipendenza degli esseri umani, la felicità dipenda dalla qualità delle relazioni sociali, ovvero da quanto tali relazioni soddisfino i bisogni primari degli interagenti, dando per scontato che un essere umano non possa fare a meno di interazioni sociali.
Il saggio sa che una relazione sociale può contribuire più o meno alla felicità o alla infelicità dei contraenti, e sa perché. Questo gli consente di fare le scelte giuste nel senso di migliorare una relazione (nella misura in cui è migliorabile) o di sostituirla con un’altra più favorevole alla felicità propria e altrui.
Il saggio vive nel presente con un occhio al futuro, e sceglie ogni giorno se continuare a vivere come vive abitualmente o cambiare qualcosa, specialmente per quanto riguarda le sue relazioni con gli altri.
Il saggio è sempre preparato alle prossime interazioni sociali, conosce i bisogni e i desideri propri e quelli altrui (distinguendo quelli sani da quelli malati), sa quando cercare compagnia e quando la solitudine, sa come presentarsi agli altri, cosa rivelare e cosa non svelare, quando cooperare e quando competere, quando guidare e quando lasciarsi guidare, cosa offrire e cosa chiedere, cosa dare e cosa prendere, cosa accettare e cosa rifiutare.
Prossimo capitolo: Il tutto e le parti, il caso e la necessità.