Quando la ragione si occupa di sentimenti

Nella cultura di massa, e in quasi tutte le culture, i concetti di ragione e sentimento sono generalmente considerati antitetici e mutuamente esclusivi. In altre parole, la maggior parte della gente crede che più si è razionali, meno si è sentimentali, e viceversa.

Questa credenza è così diffusa che chi cerca di analizzare e spiegare i sentimenti con un approccio sistemico, ovvero cerca di scoprire le logiche inconsce che li producono o li inibiscono, viene visto dai più come uno che non riesce a vivere in modo sano i propri sentimenti, e non riesce ad amare né a “lasciarsi andare”. In altre parole, viene visto come infelice, illuso, represso, senza-cuore, non-empatico, poco-umano, uno che non vive pienamente ecc.

È a causa di tale generale credenza che la psicologia (che è la disciplina che più di ogni altra dovrebbe occuparsi della fenomenologia dei sentimenti) è da un lato poco praticata dalle masse, dall’altro frammentata in scuole discordanti e poco efficaci. La loro scarsa efficacia, a mio parere, è dovuta al fatto che quasi nessuna affronta francamente, con un approccio razionale e sistemico (cioè causale e cibernetico), la natura dei sentimenti, da cui dipende la felicità e l’infelicità umana.

Per esempio, quando si parla di amore, se ne parla generalmente come di una cosa sacra e immateriale che sfugge ad ogni legge fisica, di un bene assoluto, ineffabile e indiscutibile, ma allo stesso tempo come di un concetto ovvio e intuitivo, tanto che parlarne in modo razionale viene considerato quasi un sacrilegio, un affronto al buon senso, una pedante provocazione, e un indizio dell’incapacità di amare.

Mi sono chiesto il motivo dell’ostilità nei confronti di uno studio sistemico dei sentimenti, e ipotizzo che essa sia dovuta al rifiuto inconscio di assumersi la responsabilità dei propri sentimenti.

Intendo dire che, sebbene i sentimenti siano in sé involontari, essi sono provocati da cause e circostanze concrete che l’uomo può, in una certa misura, modificare volontariamente.

Tornando all’esempio dell’amore, noi non possiamo scegliere di amare o non amare qualcuno o qualcosa, ma possiamo fare delle scelte che ci indurranno ad amare o a non amare, per cui siamo in qualche modo responsabili dell’amore che proviamo o non proviamo.

In altre parole, se noi conoscessimo la logica che determina l’amore e il suo opposto, potremmo scegliere di comportarci in modo da provare i sentimenti che riteniamo desiderabili e socialmente corretti, e da non provare gli altri.

D’altra parte, io credo che la conoscenza delle logiche dei sentimenti sia censurata dal super-io, in quanto esse sono in gran parte egoistiche.

L’uomo nasce con una innata capacità di amare e di odiare, che consistono in sentimenti funzionali alla sopravvivenza dell’individuo e della sua specie. Comprendere le “ragioni”, cioè le logiche di tali sentimenti ci aiuterebbe ad ottenere più facilmente ciò che siamo portati ad amare, e ad evitare ciò che siamo portati ad odiare.

In ogni caso io escludo, per esperienza personale, che analizzare sistemicamente i sentimenti li inibisca. Al contrario, credo che tale analisi li esalti, sia perché li libera da autocensure, sia perché favorisce la soddisfazione dei bisogni da cui i sentimenti stessi dipendono.